Abruzzo, terra di snodi e incontri
L’Abruzzo è una cerniera nella geopolitica tra Medioevo ed Età Moderna: terra di confine tra Regno di Napoli e Stato Pontificio è anche ponte tra Adriatico e Oriente, un luogo dove la circolazione di idee, cultura e mercati imprimeva la ricchezza delle contaminazioni e delle convivenze.
L’Aquila ebbe già dalla sua fondazione la caratteristica di essere città composita, formata dalle numerose popolazioni inurbate del contado e quindi dai loro dialetti e dalle loro culture, divenuta tappa di pellegrini, che la attraversavano per il giubileo di Celestino V, di mercanti, per la ricchezza della lana e la preziosità dello zafferano, e mèta di artisti, circolanti nella Penisola e in Europa, che committenti nobili coinvolgevano nell’abbellimento di dimore e cappelle.
L’età aragonese, nel secondo Quattrocento, segnò L’Aquila con l’inizio di un glorioso momento di sviluppo economico e culturale, pur con le latenti tensioni di convivenza con le fazioni filoangioine. Molti privilegi furono concessi alla città dal re Alfonso d’Aragona, con numerose esenzioni fiscali, con la valorizzazione del tratturo L’Aquila-Foggia che consentiva la transumanza verso la regia dogana di Foggia, con il riconoscimento dell’Arte della Lana e l’istituzione delle due fiere di maggio, capaci di favorire un’enorme circolazione di uomini e capitali.
Tra crolli e rinascite
Neanche il forte sisma del 1461, che impose una onerosa ricostruzione della città, riuscì ad arrestare il secolo del Rinascimento dell’Aquila che prosperò per i suoi commerci, specialmente lana e zafferano, estendendo le proprie relazioni fino a Firenze, Genova e Venezia, nonché in Francia, Olanda e Germania, diventando la realtà urbana più importante del Regno, dopo Napoli.
Il terremoto del 1461, seguito ai numerosi sismi del secolo precedente, aveva provocato l’arrivo di molte maestranze dal milanese, dal varesotto, dal comasco e dalla valle d’Intelvi, giunte in città per la ricostruzione del suo tessuto urbano, portando, insieme alle loro competenze, anche le loro culture ricostruttive in un fenomeno destinato a ripetersi per tutti i sismi successivi, fino a quello recente del 2009.
Questi flussi di uomini crearono anche nuovi insediamenti nella città ferita che si accresceva di botteghe in cui si parlavano altri dialetti, così come delle Confraternite di Sant’Ambrogio e, successivamente, di San Carlo. Si sviluppò anche una coscienza architettonica antisismica, che si confrontò con altre aree d’Europa nell’utilizzo di presidi lignei inseriti negli edifici destinati a limitare i danni dei crolli.
Tra Medioevo ed Età Moderna all’Aquila si verificavano molti terremoti, che spesso ne modificarono l’impianto senza mai sconvolgere la morfologia urbanistica. La città tendeva sempre a riedificarsi su se stessa fino al grande sisma del 2 febbraio 1703, che disegnò l’immagine tardo barocca della città moderna.
Dal contado alle New Towns
L’Aquila è, tra Quattrocento e Cinquecento, città demaniale che estende le sue giurisdizioni nell’area extra moenia. Questo rapporto così intenso con il territorio fuori dalle mura costruì la morfologia dell’immagine urbana come un corpo con le sue membra: il contado in realtà fu, per secoli, il polmone economico dell’Aquila, con pascoli che rendevano ottimo bestiame e pregiata lana, mentre il prezioso crocus sativus aveva permesso mercati ricchi e assidui di zafferano con acquirenti italiani e tedeschi, favorendo la nascita di un ceto mercantile attivo e molto abile nell’imprenditoria.
Uno snodo di passaggio centrale nel rapporto città-territorio avviene quando al termine del periodo aragonese L’Aquila si schiera su posizioni filofrancesi, incoraggiando la cosiddetta rivolta antispagnola del 1528, dalla quale derivò un clima di forte tensione nella dialettica con il territorio circostante. Il contado, privo di rappresentanti nelle istituzioni municipali e soggetto a tassazioni onerose, si ribellò chiedendo aiuto all’esercito francese accampato sulla costa. Le truppe spagnole, tuttavia, ripresero solidamente la città, imponendo tre pesanti oneri: la separazione della città dal contado e la fine dell’aquilana libertas, il pagamento della pesante tassa del Taglione e la costruzione del Castillo per volere di don Pedro de Toledo.
Il nuovo viceré infatti, affidandosi all’ingegno dell’architetto valenziano Louis Pirro Escrivà, intendeva proseguire la linea delle grandi fortificazioni militari che proteggevano il Regno. Con la separazione dell’Aquila dal contado l’anello che si era chiuso nella città per fondarla era ora distaccato da un atto politico: in questo territorio i castelli furono assegnati ai capitani spagnoli o venduti a nuovi feudatari, che con l’acquisizione dei titoli nobiliari, acquistarono nuova visibilità politica negli spazi di governo della città.
Questi borghi, con le estinzioni delle famiglie del patriziato aquilano, divennero Comuni fino al progetto del 1927 della Grande Aquila, voluto dal podestà Adelchi Serena, in cui otto di questi paesi persero la loro autonomia per essere inglobati nel Comune dell’Aquila. Attualmente questi centri hanno visto crescere nel loro territorio, dopo il recente sisma del 2009, le cosiddette New Towns, agglomerati di case dormitorio che hanno ospitato, e ospitano ancora ora, molta parte della popolazione dell’Aquila, in un abbraccio di accoglienza, ma anche di divisione, che richiama note antiche.
Predicatori, pellegrini e “buttatelli”
Nella prima metà del Quattrocento San Giovanni da Capestrano inoltrò alla Camera della città la richiesta di fondazione di un ospedale cittadino. Questo evento fu molto importante per la storia dell’Aquila che ebbe il suo Ospedale Maggiore legittimato dalla bolla pontificia Licentia fundandi unum hospitale con la quale Niccolò V, nel 1447, aggregava all’ente i patrimoni degli altri ospedali urbani. Nasceva all’Aquila, dunque, l’Ospedale San Salvatore, circa negli stessi anni in cui nasceva a Milano la Ca’ Granda. L’ospedale non era un luogo solo di assistenza al malato, ma anche di ricovero, di cura, di protezione per “buttatelli”, bambini abbandonati, donne sole, indigenti e viandanti. La dimensione dell’ospitalità al povero come Christomimètes mutò la sua caratteristica nel processo di laicizzazione all’assistenza, che coinvolse molti istituti di cura dei malati e di raccolta di pellegrini in Italia. Il San Salvatore nasce con la caratteristica di essere un ospedale laico, voluto dal Comune della città, sul modello di esempi della penisola centro-settentrionale, come Siena e Firenze che rappresenta, proprio per questo, un caso originale nel meridione.
Nel Quattrocento la città fu nota anche per la lunga presenza di tre grandi santi francescani: San Bernardino da Siena, San Giovanni da Capestrano e San Giacomo della Marca. Alla morte di San Bernardino, nel maggio 1444, la cittadinanza ottenne da papa Eugenio IV l’autorizzazione a custodirne le spoglie per le quali fu edificata la monumentale Basilica eponima, accanto all’Ospedale San Salvatore, per volere dell’amico San Giovanni da Capestrano.
Molti artisti segnarono il Rinascimento aquilano: Raffaello Sanzio che intrecciò rapporti con la ricca famiglia Branconio e dipinse la Visitazione per la chiesa di San Silvestro (oggi al Museo del Prado a Madrid), e prima, Saturnino Gatti autore del ciclo di affreschi di Collemaggio e quello molto più elaborato di Tornimparte. Ancora, i pittori Andrea De Litio, Francesco da Montereale, Pompeo Cesura, Giovanni Paolo Cardone, i Bedeschini.
Un allievo di Gutenberg
Nel 1481 Adamo da Rottweil, allievo di Johann Gutenberg, impiantò all’Aquila una delle prime tipografie, consentendo una larga diffusione di opere preziose nella Penisola, ma anche in Europa. L’arrivo di Rottweil segnò profondamente il Rinascimento aquilano, mentre le stamperie cittadine iniziarono a commerciare con Fabriano per l’acquisto della carta. Autori importanti venivano a stampare all’Aquila in una circolazione di uomini e idee in cui la città incrociò reti nazionali e internazionali.
Tra le numerose opere, oggi conservate nel fondo antico della Biblioteca Salvatore Tommasi e appartenute ai conventi aquilani, si annovera un esemplare rarissimo del manuale inquisitoriale per la persecuzione delle streghe, il Malleus Maleficarum, così come c’è la Geometria di Girolamo Pico Fonticulano, l’architetto che influenzò, con la sua proposta, gli interventi di ordine urbanistico nella città. Fonticulano si occupò della ristrutturazione del Palazzo del Capitano del Popolo, che poi lasciò per la corte di Madama: Margherita d’Austria, figlia naturale dell’imperatore Carlo V, duchessa di Parma e Piacenza, giunse all’Aquila il 16 dicembre del 1572, per porre la sua dimora nella città, di cui il fratello, il sovrano di Spagna Filippo II, le aveva affidato il governo fino alla morte, che sopraggiunse nel gennaio del 1586.
La corte di Margherita d’Austria
Nella seconda metà del Cinquecento la scena aquilana è caratterizzata dalla presenza della corte tardo rinascimentale dell’erede imperiale Margherita d’Austria. Palazzo Margherita assumerà, nel cuore dell’Aquila spagnola, il ruolo di laboratorio politico, simbolico e scenografico, inaugurando una fase di recupero di prestigio culturale a cui la città aspirava da tempo e che identificò con l’erede di Carlo V. Un ingresso fastoso con apparati artistici e propagandistici realizzati da intarsiatori e artisti accolsero Margherita, che da poco era tornata dalle Fiandre, in cui era stata governatrice. Tra monarchia spagnola e corte Farnese, Madama governò con equilibrio, anche organizzando sul piano amministrativo i suoi Stati Farnesiani d’Abruzzo, alcuni dei quali precedentemente medicei.
Nella corte all’Aquila si parlavano più di quattro lingue tra i musici della cappella musicale, i medici, gli speziali, gli artisti, i cancellieri, i notai e i segretari, oltre a tutto il personale di corte, di molte e diverse provenienze. Madama ospitò frequenti visite di personaggi illustri in cui la città si trasformava per cerimoniali e cavalcate, come quelle per l’ingresso del cardinale Alessandro Farnese, del marito il duca Ottavio, del figlio condottiero Alessandro, e come l’ingresso notturno, fastoso, di Giovanni d’Austria, venuto a trovare l’amata sorella, appena reduce dalla vittoria nella Battaglia di Lepanto.
L’Inventario farnesiano 372 ci consente di entrare in punta di piedi in questa piccola reggia rinascimentale nella quale Margherita conservava, oltre ai suoi tesori, i suoi gusti, le sue sensibilità: casse e bauletti con trine e profumi, cuscini di velluto «negro spelato per il cocchio», usati nei suoi numerosi e lunghi viaggi nelle Fiandre con la sua numerosa corte, attraversando Alpi e lunghe pianure verso le terre del nord Europa. Nel Palazzo aquilano c’erano poi reliquie, dipinti e ampolle di essenze forse del Gran Sasso, dove si recava il suo consigliere Francesco de Marchi, autore della prima ascesa nel 1573. E poi archivi di documenti e arazzi giganteschi, come quelli raffiguranti la Festa delle Driadi e Perseo alla corte di Atlante che oggi ornano le sale del palazzo romano del Quirinale.
In questo “Rinascimento” artistico e di rappresentazioni, L’Aquila entrava negli itinerari europei, scambiando esperienze politiche con il nord Europa, confluendo nelle migrazioni sociali delle maestranze milanesi e nel loro know how, commerciando con mercanti tedeschi lane e spezie, stampando esemplari di letteratura e diritto, ma anche di botanica e medicina in una circolazione di contaminazioni culturali che resero la città al centro di reti vicine e lontane.
Silvia Mantini